Aprile e il suo Soldatino Rosso

Era mezzanotte in punto, quando Aprile giunse ad Aosta, dopo un lungo viaggio nel Tempo. S’incamminò in direzione del Ponte di Pietra, quello in muratura, che attraversava il torrente Buthier. Lì, incontrò per un attimo, un  attimo solamente, suo fratello Marzo che, intabarrato nel suo ampio impermeabile rosso, gli sussurrò : “Andrà tutto bene!” scomparendo, poi,  nell’oscurità.

“Certo che andrà tutto bene-pensò Aprile- con me i fiori sbocceranno nuovamente, le rondini sfrecceranno nel cielo azzurro, i bambini torneranno a giocare nei prati e la gente festeggerà la Pasqua!”. Si affacciò al parapetto del ponte  e salutò il torrente. “Ehi, Buthier, sono Aprile! Sono tornato! Con il mio calore scioglierò le ultime nevi e ti darò acqua  in abbondanza!”. Il Buthier lo ringraziò con la voce smorzata delle sue esigue acque.

Poi Aprile si voltò.   Davanti a lui si ergeva maestoso l’Arco d’Augusto illuminato dai faretti posizionati nell’area verde. Il Gigante di Pietra  era lì come sempre, da sempre. Aprile, ad ogni suo ritorno, era impressionato da quegli imponenti pilastri squadrati saldamente piantati nel prato circostante e dalla  grandiosa volta sotto cui era posto il Crocefisso chiamato Saint Vout (San Volto). Alzò lo sguardo verso il tetto di ardesia su cui le tre bandierine di ferro mandavano riflessi mutevoli sotto i raggi della luna. Attraverso la spaziosa arcata, scorse la via Sant’Anselmo lunga e deserta, racchiusa tra le facciate scure delle case, rischiarate qua e là, dal chiarore lattiginoso  dei lampioni… In lontananza, la  sagoma cupa e solitaria del campanile di Sant’Orso sovrastava i tetti.

L’Arco d’ Augusto era il luogo dove Aprile sostava durante i suoi trenta giorni di permanenza nella città e dove tornava ogni sera dopo aver visitato colline, viali, giardini, aiuole…

Anche quella notte, stanco del lungo viaggio nel Tempo, si distese sotto l’arcata. Tirò fuori dallo zainetto il suo plaid a fiori, per ripararsi dalla brezza notturna,  e si addormentò.

“Ehi, Aprile! Ehi!”. Qualcuno lo scuoteva dolcemente da una spalla …  Aprile si stropicciò gli occhi, balzò in piedi riassettandosi, con le mani,  la giacchetta a fiori e i jeans azzurro-cielo e sistemandosi i capelli variopinti in un cocuzzolo appuntito. Vide che il sole  aveva già attraversato le creste del monte Emilius e della Becca di Nona e , tuffandosi nella vallata , aveva inondato con la sua luce la città.

C’era tutt’intorno un silenzio irreale: non si udiva  il rombo delle auto che di solito passavano attorno all’Arco d’Augusto, né il calpestio affrettato delle persone che si recavano al lavoro;non si sentivano i richiami e le risate dei bambini che abitualmente entravano nella scuola lì  a fianco. La via  Sant’Anselmo era deserta: nessun passo risuonava sull’acciottolato grigio. Soltanto il suono lontano e poi sempre più  vicino, lacerante, della sirena di un’ambulanza aveva rotto ,per qualche minuto, quella quiete innaturale…

“Ehi, Aprile!”. Aprile si girò. Era  l’Anno, suo padre, che lo chiamava. Era  venuto a salutarlo. “Salve figliolo! Bentornato!” Volevo lasciarti il regalo che ho pensato te: rappresenterà, come è già stato per i doni ricevuti dai fratelli che ti hanno preceduto e come sarà per i doni che assegnerò ai fratelli che ti seguiranno, una specie di contrassegno, di distintivo che evidenzierà`   maggiormente le tue caratteristiche. Voi  12 mesi, cari figli miei, siete uno diverso dall’altro e ognuno di voi, con il proprio aspetto individuale e il proprio carattere personale, contribuisce al mutamento continuo della Natura. Senza di voi le Stagioni sarebbero tutte uguali e terribilmente monotone.  Ah, dimenticavo… sarà ,il mio,  un dono “animato”. Spetterà a te predisporgli lo scenario più adeguato! Ecco il regalo adatto per te che porti la Pasqua!” e così dicendo posò tra le mani di Aprile un bell’uovo di cioccolato con la raccomandazione di non aprirlo fino a quel  giorno di festa.

Aprile era frastornato. Avrebbe voluto chiedergli che cosa voleva dire un dono “animato” …e poi domandargli come mai lui, Aprile, mese dei colori, dei profumi e dei suoni, era capitato in una città grigia, asettica e silenziosa. Ma suo padre, l’Anno, così com’era arrivato, si   dileguò nel vortice del Tempo al di là  del Ponte di Pietra.

Così Aprile si ritrovò ai piedi dell’Arco d’ Augusto con quell’uovo di Pasqua tra le mani.Se lo girava e rigirava tra le dita ed i fiori della carta argentata, nella quale l’uovo era avvolto, sembravano crepitare con un brillio cangiante. Unica nota vivace in quel silente grigiore dove anche le pietre squadrate del monumento romano assumevano, nonostante il sole, un aspetto plumbeo.

Aprile avrebbe voluto aprire subito l’uovo per vederne la sorpresa…Tutto taceva intorno e così egli riusciva a sentire degli strani rumori provenire dall’interno. Se lo avvicinava all’orecchio,  cercando di soffocare tra le dita il fruscio ribelle della carta, era in grado di percepire una  lieve risonanza, dei colpetti leggeri ,come  se qualcuno bussasse contro le pareti dell’uovo.

Aprile tratteneva il respiro per impadronirsi di quei battiti: tum tum tum …tum tum…un tamburellare sfuggente, irregolare …Tum …tum…forse erano i palpiti della sua fantasia prodotti dall’attesa o forse le pulsazioni di quei fiori variopinti impressi sulla carta di alluminio …Tutto sembrava amplificato dal silenzio assoluto che regnava in quel prato all’entrata della città.

Aprile non poteva saperlo, ma dentro l’uovo vi era un soldatino di plastica, tutto rosso, un soldatino smanioso di uscire per poter fare la guerra! Egli picchiava disperatamente i suoi pugnetti contro le pareti di cioccolata nella speranza che qualcuno lo udisse e gli aprisse un varco per poter uscire da quella prigione profumata. Lì dentro era tutto buio e su quel pavimento curvo si stava in piedi per miracolo ! Alcuni giorni prima , in un momento di rabbia, il soldatino insofferente, aveva fatto a brandelli la carta velina bianca che lo avvolgeva come una mummia ed ora ,sciolto da quelle bende, correva da una parte all’altra all’interno dell’uovo alla ricerca  della libertà e dell’attuazione dei suoi propositi guerrieri…Nessuno però sembrava udire i suoi frequenti strepiti e allora …l’omino di plastica, stanco e deluso, si sedeva sul fondo concavo e , appoggiando la piccola schiena contro una parete e tendendo le gambine contro l’altra, si  addormentava su quella specie di vuoto sotto il corpicino, con il suo fedele fucile a tracolla.

Aprile nascose l’uovo in un cespuglio sempreverde  del prato e iniziò il suo lavoro di rinascita partendo proprio dalla zona verde che circondava l’Arco d’Augusto . Con il tocco leggero delle sue mani fece risvegliare gli steli d’erba e rigermogliare le foglie sugli arbusti, sparpagliò nel terreno semi multicolori e larve iridescenti d’insetti estratti dal suo zainetto. Poi, dedicò le sue cure ai due maestosi platani che costeggiavano il monumento e agli olmi che ornavano il parcheggio davanti alla Scuola Elementare rinfoltendone le fronde su cui aveva già iniziato ad operare suo fratello Marzo. Nei giorni seguenti salì con  passi leggiadri sulle colline di Porossan e di Saint Christophe inondandole di una impalpabile fremente nuvola di fiori bianchi e rosa.

Aprile si dimenticò del suo uovo di Pasqua e continuò il suo lavoro di rifioritura allontanandosi sempre di più dalla zona verde dell’Arco di Augusto e tornandovi soltanto a sera per distendersi e dormire sotto l’arcata del monumento .

Arrivò il giorno di Pasqua. Le campane della città vibrarono tutte all’unisono ma, stranamente, quasi nessuno uscì dalle case… Quelle poche persone che Aprile incontrò lungo la via Sant’Anselmo, camminavano circospette e distanziate portando una mascherina sul viso. “Eppure non è  Carnevale- pensò Aprile- e mio fratello Febbraio è  già tornato da almeno quaranta giorni nel vortice del Tempo!”. Saracinesche di negozi, bar e ristoranti abbassate e in alto, su alcuni balconi, lembi increspati di lenzuola tra le cui pieghe apparivano i colori dell’arcobaleno e le lettere disgiunte di scritte incomprensibili.

 

 Aprile giunse sul sagrato della Chiesa di Sant’Orso. Non vi era nessuno! Sentì un pianto sommesso…Lacrime di resina scendevano lungo il tronco rugoso e macilento del tiglio multisecolare . “Aprile, finalmente sei tornato! Qui non passa più nessuno…Dove sono andati quei vecchietti che, recandosi a messa , mi salutavano con simpatia dicendomi che anch’essi erano longevi e malandati ma che ,nonostante tutto, bisognava tenere duro?”. Aprile, districandosi fra le sbarre di ferro che sorreggevano il vecchio albero, in bilico fra sopravvivenza e rovina, lo abbracciò forte forte , trasmettendogli l’energia necessaria a generare, miracolosamente, minutissimi germogli d’un verde tenero sui rami secchigni e raggrinziti. “Ciao Tiglio ! Mi raccomando, tieni sempre duro! Non mollare!”, lo salutò  allontanandosi.

Aprile tornò all’Arco d’Augusto. Attese il primo rintocco di campana che annunciava la fine di una messa senza fedeli poi, mentre il suono si ampliava diventando vibrante, tirò fuori l’uovo di Pasqua dal cespuglio. Sciolse, dopo due o tre tentativi affannosi, il nodo dell’enorme fiocco rosso che raccoglieva i quattro lembi dell’involucro fiorito. In uno scricchiolio palpitante ed argenteo apparve il guscio profumato e liscio dell’uovo. Aprile, emozionatissimo, lo tenne tra le mani, aspirandone l’inconfondibile e avvolgente profumo di cioccolata.  Lo agitò per sentire finalmente, senza ombra di dubbio, il battito del suo cuore di cacao e….il soldatino fu sbatacchiato di qua e di là, in su e in giù, in un turbine di cerchi marroni.

Aprile, avuta la certezza …sonante della sorpresa, fece un buchino sull’estremità dell’uovo con una pietra appuntita e…vide spuntare una cosina rossa ..un cappellino e sotto questo…un visetto accigliato e vispo e poi due braccine che si agitavano di qua e di là brandendo un minuscolo fucile nero…  “Oh, finalmente, posso uscire! Era ora!” , esclamò il soldatino sbucando da quell’andito scuro e strizzando gli occhietti alla penetrante luce del giorno .“Voglio vedere il mondo! Dai, aiutami !Tirami fuori da questa maledetta prigione di cioccolata e fammi scendere! Il nemico mi aspetta!”, continuò eccitato ed effervescente. Aprile, sbalordito, tirò fuori il soldatino prendendolo delicatamente dalle piccole braccia e lo posò nel prato. Non ebbe neppure il tempo di osservarlo poiché il soldatino, velocissimo, impugnò il suo fucile e sparì tra gli steli, che sorgevano dal terreno ritti come spade, gridando : “ Il nemico mi attende!”. Inutilmente Aprile lo chiamò, inutilmente  gli disse di stare attento…Il soldatino non si fermò. Si addentrò nella zona verde lasciandosi avvolgere dal respiro aromatico dell’erba.

Avanzava, guardandosi attorno circospetto, sempre con il suo fucile imbracciato e con il suo microscopico indice ad arco sul grilletto. Faceva caldo sotto quell’intrico verde e  l’aria diventava a tratti soffocante come in una serra. Improvvisamente il soldatino rosso vide ai piedi di una montagnetta qualcosa di scuro che si muoveva luccicando sotto i raggi del sole. Guardò meglio e vide un lunghissimo esercito di soldatini dalla divisa nera. Avanzavano in fila indiana verso la piccola altura. Un esercito numeroso che pareva non avere più fine. Naturalmente, il soldatino rosso,  non conoscendo il mondo, ignorava  l’esistenza delle formiche. Infatti, si trattava di grosse formiche nere che, una dietro l’altra, si affrettavano verso il formicaio per rifornire di provviste le loro dispense. Il soldatino, frenando a stento il desiderio di lanciare un urlo... di guerra , si apprestò a tendere un agguato. Avvistato un ciuffo d’erba ai piedi della montagnetta, con un balzo silenzioso, lo raggiunse e vi si nascose. La fila dei nemici passava proprio lì ,davanti a lui, snodandosi svelta su per la salita. Le formiche, molto probabilmente, con i loro molteplici occhietti e con le loro antenne-radar, si erano accorte della sua presenza poiché il loro” formicolare” ordinato ebbe uno sbandamento improvviso. Il soldatino fece fuoco: nell’esercito bruno e lucente ci fu uno scompiglio, uno scappare  incrocicchiato,   un fuggire per ogni dove. Il soldatino,  orgoglioso di avere provocato tutto quel parapiglia nell’armata nera, se ne stette immobile ad assaporare  il suo momento  di gloria. Non si accorse che numerose formiche,  passato il momentaneo smarrimento, si erano disposte a cerchio attorno ai suoi piedini, alzando le antenne ad “annusare” il tipo di nemico con cui avevano a che fare: odore di plastica, di irriducibile plastica, odore ben conosciuto dal loro DNA. Quanta spazzatura abbandonata sovente nei prati, dentro sacchetti trasparenti malamente annodati, bucherellati da animaletti curiosi…e quanti ricchi bottini vi si potevano trovare!

Le formiche ,spinte da quei ricordi e con l’acquolina in bocca, cominciarono a salire, aprendo le mandibole e sollevando l’addome, sugli scarponcini e poi su, lungo i pantaloncini rossi del soldatino. Quando questi avvertì uno strano pizzicorino fu troppo tardi . Inorridito vide quei mostriciattoli neri che si arrampicavano su più file, lungo le sue gambe. Cominciò a menare colpi all’impazzata con il suo fucile: ad ogni formica che volava per terra, ne subentravano altre due nell’arrampicata. Si vide perduto! Fortunatamente giunse Aprile. Lo prese per la minuscola giubba e lo sollevò in alto scrollandolo di qua e di là per fare staccare quegli intrepidi insetti che, in verità ,non avevano nessuna intenzione di mollare la presa. Quando anche l’ultima formica cadde finalmente nell’erba a zampe all’aria, Aprile posò il soldatino sulla base di un  pilastro del monumento romano, gli riassettò la divisa, gli calcò in testa il cappellino, gli sistemò il fucile a tracolla. “Questo deve rimanere così”- gli disse- “Non si fa la guerra. Non si …”

Non aveva ancora finito di parlare che già il soldatino, con un agile balzo, era sceso dalla pietra scomparendo in un balenio rosso. Aprile, sconsolato, si diresse verso il bordo del prato dove erano sbocciate le violette. Si chinò a salutarle accarezzando le loro graziose testine piegate in avanti e le loro foglioline a cuore. Anche le primule erano nate e i narcisi… e i tulipani…tutti raggruppati in piccole aiuole che abbellivano il prato. E le margherite sparpagliate ovunque…Persino qualche esile piantina di affacciava timidamente dalle crepe dei grossi blocchi di pietra dell’Arco d’Augusto. Tutto si riproduceva rapidamente,  foglie, fiori, insetti poiché le giornate erano calde e lo smog era sparito quasi del tutto per l’assenza delle auto nelle strade.

Intanto il soldatino rosso avanzava imperterrito nella zona verde. Aveva inforcato nuovamente il suo fucile e con la canna si faceva largo tra gli steli verde smeraldo cresciuti in modo repentino.

Improvvisamente il soldatino rosso udì una specie di rombo …Un aereo radendo fulmineo il prato, gli gettò sulla piccola nuca una ventata d’aria, sollevandogli il cappellino e sparendo veloce oltre i fili d’erba.

Il soldatino attese che l’apparecchio tornasse.. Eccolo nuovamente con il suo rombo lungo e continuo ..eccolo puntare nella sua direzione…Il soldatino mirò e sparò. Pum! L’areo vacillò un attimo, oscillò e poi, girando su se stesso, scomparve nel prato. Invano il soldatino lo cercò. L’apparecchio nemico sembrava scomparso nel verde. Non lo trovò proprio. Infatti l’ape,  perché di un’ape di trattava, finita tra le violette che con la loro penetrante fragranza l’avevano fatta rinvenire, era stata soccorsa amorevolmente da Aprile

L’insetto, tremante di rabbia nel suo corsaletto d’oro e d’ambra , osservava il forellino nel tessuto trasparente e azzurro della sua ala destra…Mentre, Aprile, premuroso, cercava di chiuderlo con un po’ di resina, l’ape con la sua vocetta ronzante gli descriveva l’autore di quella malefatta.

“Io l’avevo avvistato quel cosino rosso, ma avevo subito capito che non poteva essere un fiore poiché saltellava in continuazione comparendo e scomparendo qua e là tra l’erba. Era un mini-cacciatore, ecco cos’era!. Mi sono  diretta verso una primula alle sue spalle, e quello mi ha puntato il suo fucile contro…forandomi l’ala! Se lo piglio, gli infilo il mio pungiglione…”.

Aprile intervenne comprensivo: “Su, stai calma! Penserò io a quel piccolo sventato!” Poi spiegò  all’insetto che il soldatino rosso, essendo  stato rinchiuso per tanto tempo nell’uovo di Pasqua, non aveva avuto modo di conoscere il mondo e di desiderare altre cose se non di fare la guerra… come istintivamente sentiva dentro di sé. Quindi, mentre l’ape riceveva l’affettuosa ospitalità delle violette con l’offerta di un bel bicchiere di nettare, Aprile andò a cercare il soldatino.

Dove mai si era cacciato? Ben presto lo seppe: contro un….carro armato! Infatti il soldatino stava sparando ad un enorme bruco che avanzava lentamente sui suoi…cingoli!.  L’animaletto, sentendo lo sparo, si arrotolò su se stesso rimanendo immobile per alcuni minuti,  poi si srotolò e, inarcando il dorso giallo-bruno, avanzò minacciosamente verso il soldatino il quale, non essendo un eroe nonostante i suoi propositi guerrieri,  si mise a tremare clamorosamente come una foglia. Aprile, al momento giusto, lo tolse ancora una volta dai guai.

Posandolo sul palmo della mano pazientemente gli spiegò: “Non avere paura, è soltanto un bruco! Non devi vedere in tutti gli animaletti del prato dei nemici contro cui fare la guerra! Non ti  fanno nulla di male! E poi sono i miei amici inseparabili! Le loro larve hanno passato il rigido inverno nel mio zainetto ed in questi giorni le ho disperse tutt’intorno affinché si risvegliassero dal lungo sonno per rendere vivace la natura. Lasciali in pace e impara ad osservarli! E poi basta con la guerra! E’ così bello stare in concordia con tutti! È  tempo di pensieri  lieti, è  tempo di Pasqua! Stai tranquillo!  Promesso?”

“Pro..messo!”, rispose il soldatino sull’attenti.

Aprile, poi, si diresse sotto l’arcata e tirò fuori dallo zainetto l’uovo di Pasqua, lo sbriciolò sul prato e ripiegò con cura la carta variopinta che lo aveva avvolto. La zona verde fu tutto un pullulare di animaletti che assaporarono quel cibo delizioso e insolito. I passeri volarono giù dai platani e dagli olmi per becchettare  quella prelibatezza inaspettata. Alcuni di essi, dopo quel dolce pranzetto, si posarono, come  al solito, sulla lunga sbarra di ferro che sorreggeva il Crocefisso sotto l’ampia volta del monumento romano.

Aprile, sbocconcellando il suo pezzetto di cioccolato in compagnia del soldatino, alzò lo sguardo e li osservò: com’erano minuscoli, lassù in alto, così appallottolati  l’uno vicino all’altro, i piccoli becchi immersi nella soffice peluria del petto,  teneri e buffi e forse…impauriti. Si parevano impauriti così  attaccati gli uni agli altri malgrado quel sole caldo…

“Ehi, piccoli, di che cosa avete paura ?” chiese incuriosito Aprile. Fu tutto un frullio di ali e un continuo e confuso cinguettio quando i passeri scesero attorniando Aprile, mentre il soldatino rosso saltava prudentemente nel taschino della giacca del suo amico avvolgendosi nel fazzoletto viola in esso custodito e rammaricandosi, quasi quasi, di avere dimenticato il suo fucile nell’erba…

E fu così che i passeri spiegarono il motivo per cui quella città era così deserta, silenziosa, incolore.. Volando nelle vie avevano intravisto vecchi, adulti, ragazzi, bambini chiusi in casa, sprofondati in poltrone e divani o immersi nella luce azzurra e tremolante delle TV.

Volti pallidi, sorrisi spenti, espressioni annoiate, gesti a volte insofferenti. Alcuni bambini ,offrendo loro briciole di pane sui balconi, avevano esclamato: “Beati voi che potete volare liberi e felici, potete andare nei parchi, saltellare sulle nostre giostre e sui davanzali delle nostre scuole chiuse da tempo! Noi dobbiamo starcene rinchiusi qui tutto il giorno perché c’è uno strano virus che gira per la città…Dicono che abbia una corona in testa e che porti malattie e …morte. E chi esce deve tapparsi la bocca e il naso con una mascherina per evitare il contagio!”.

Il soldatino rosso con un balzo uscì dal taschino, raccattò il suo fucile gridando agitato : “Aprile, dai andiamo! C’è veramente un nemico in questa città, contro cui combattere!”.

“No soldatino, il tuo fucile non serve-spiegarono gli uccellini- si tratta di un nemico invisibile e silenzioso. Si combatte solamente lavandosi bene le mani, tenendosi a distanza gli uni dagli altri e restando chiusi in casa…”.

Aprile esclamò : “ Che tristezza ! Bisogna fare qualcosa per rallegrare queste persone e far rinascere questa città!”.

Prese il suo zainetto e portò con sé  il soldatino sistemandolo nel solito taschino da cui estrasse il fazzoletto viola che si annodò attorno al viso come un bavaglio.

Cominciò dalla prima casa di via Sant’Anselmo. Suonò ai citofoni : “Chi è? Chi è ? Chi è”, risposero dall’interno di appartamenti silenziosi e isolati. Fu così che Aprile si presentò di porta in porta. Le persone  lo accolsero benevolmente osservando con curiosità quella  specie di folletto con i capelli a punk variopinti, un soldatino di plastica nella tasca della giacchetta a fiori, i jeans azzurro-cielo e gli stivaletti verdi …Una vera boccata  di allegria e colore!.

Il soldatino con la punta della canna del fucile, operò dei buchi nella terra incolta dei vasi abbandonati sui davanzali e sui balconi e Aprile vi introdusse dei semi multicolori. E così  fecero nei giorni seguenti . Su,su lungo la via ,sino alle Porte Pretoriane e oltre… Ben presto i fiori sbocciarono e angolini verdi dalle tinte vivaci apparvero nelle strade come giardini sospesi , mentre i teli bianchi, su cui i bambini avevano disegnato arcobaleni e scritto: “Andrà tutto bene!”, si moltiplicarono estendendo per bene il loro messaggio   al sole e ondeggiando allegramente nella brezza primaverile. Nugoli di farfalle variopinte invasero le strade. Voci, risate, richiami, canzoni, musiche  allietarono finestre e terrazzi spandendosi nell’aria e attutendo il suono acuto e lugubre della sirena delle ambulanze che trasportavano in ospedale i contagiati dall’invisibile nemico. Lì, medici ed infermieri li avrebbero protetti e salvati.

La città si rianimò a poco a poco.

Il soldatino rosso fece amicizia con un bimbo dai riccioli scuri di nome Joel. Tornava spesso a giocare con lui in quel piccolo appartamento disadorno di mobili e di giocattoli.

Un giorno si arrampicò,  impavido, lungo il pilastro dell’Arco di Augusto mentre quattro farfalle tenevano distesa sotto di lui,  a mo’ di rete di protezione, la carta variopinta dell’uovo di Pasqua ..  Osservò stupito una lucertola che svirgolava sulla parete, un lampo argentato che scomparve in una crepa grigia…Se avesse avuto il fucile…no, no il tempo della guerra era finito! Arrivato sul tetto di ardesia, issò su ognuna delle bandierine di ferro un lembo di tessuto su cui Joel  aveva scritto “Andrà tutto bene!” e ridiscese soddisfatto scivolando veloce lungo una semicolonna del pilastro.

Arrivò per Aprile il trentesimo giorno di permanenza. Quando, a notte fonda, dal campanile di sant’Orso risuonò il primo rintocco di campana, Aprile s’infilò lo zainetto sulle spalle , ripose il fazzoletto viola nel taschino, diede un’occhiata alla via Sant’Anselmo . Alcune finestre ancora illuminate rivelarono la presenza di quei fiori che lui aveva miracolosamente fatto sbocciare.

Nella via deserta un uomo camminava a passo irregolare e sbandato, seguendo il suo cane che, al guinzaglio, scorrazzava qua e là in una danza festosa.

Aprile si rivolse al Crocefisso: “Saint Vout, proteggi  gli abitanti di Aosta da questa calamità come, secoli fa , li proteggesti dalla corrente rapinosa del Buthier esondato!”.

 S’incamminò, quindi, lungo il Ponte di Pietra. “Ciao Buthier! “Al prossimo anno!”. Il torrente rispose con la  voce argentina delle sue acque spumeggianti.

Aprile incrociò per un attimo, un attimo solamente, suo fratello Maggio. I raggi della luna indugiarono su un mazzo di rose che spuntava dal suo zaino… “Andrà tutto bene!”, gli sussurrò Aprile e poi, al dodicesimo rintocco di campana, sparì nel vortice del Tempo.

Il soldatino rosso dormiva sonni tranquilli e pacifici  sul cuscino, accanto ai riccioli scuri di Joel , mentre il Gigante di Pietra vegliava sulla città, come sempre, da sempre.